Sono una docente di sostegno di “lungo corso”, per ragioni anagrafiche e
professionali. Naturalmente, ho ancora molto da imparare (se ne ha sempre!), ma
di cose da dire e raccontare in effetti ne ho molte, e provo un grande piacere a
condividerle, anzi faccio ordine nei pensieri e rafforzo le mie competenze
proprio in questa condivisione.
Così in questi giorni si è avviato uno scambio epistolare con alcuni
colleghi più giovani, scambio cui mi ha introdotto l’amica Daniela che mi chiede
di allargare alla lista: lo faccio volentieri, purchè portiate pazienza se vi
tedierò ancora altre volte con il racconto delle mie esperienze, e se vi
sembrerò fanatica con le mie sottolineature emotive (perchè, altrimenti, non mi
diverto).
Quest’anno ho avuto la fortuna di essere assegnata ad un bambino con
autismo: erano diversi anni che non mi capitava più, semplicemente perchè
non ne arrivavano, casualmente, nell’Istituto Comprensivo in cui lavoro.
Quest’anno ricomincio, e sono davvero contenta. Il mio bambino è in prima:
ancora non lo conosco molto, se non dalle parole di un unico incontro con le
insegnanti di scuola materna e con la madre. Anche dalla lettura della
diagnosi funzionale, certo, ma non mi è così utile.
Alla collega che si preoccupa perchè il suo bambino non vuole stare in
classe e mi chiede cosa ho ricavato dai numerosi corsi teorici seguiti in questi
anni, ho risposto, nella mia ultima mail:
“Più che idee
pratiche, perchè quelle nascono dall’esperienza e dall’osservazione, provando e
riprovando proposte diverse, ne ho ricavato un principio fondamentale:
all’inizio del rapporto con questi bambini, più che idee teoriche da confermare
(la CAA o ABA), occorre studiarli e conoscerli per “conquistarli”.
E’ il “pairing”, quella fase in cui devo capire quali
rinforzi possono funzionare con lui (sociali, alimentari, attività preferite,
giocattoli, canzoni ecc.) e in cui la mia presenza diventa importante per il
bambino. Quindi, prima di decidere che “deve stare in classe”, prima di
fare a lui delle richieste, chiedo l’aiuto di chi lo conosce per sapere “cosa
gli piace”, cosa funziona con lui.
Non si tratta di assecondarlo, però, ma di trovare
“strategie furbe” che funzionano: Carbone si aggirava intorno a bambini
esagitati che non si sapeva come prendere, poi trovava l’oggetto che gli piaceva
e iniziava a darglielo, facendo in modo che il rinforzo da ricevere dipendesse
da lui, e somministrandolo prima senza chiedere nulla, molto generosamente, poi
chiedendo, a piccoli passi, qualcosa in cambio. E il tutto con leggerezza, con
senso dell’umorismo, anche, con creatività.
Ci vuole una grande energia, un grande spirito di
osservazione, anche una grande umiltà perchè si può imparare dagli altri se
hanno scoperto, indipendentemente dal loro ruolo e competenze, “qualcosa che
funziona”.
E in tutto ciò, meglio se, assecondandolo, ti diverti
autenticamente con loro: non gli insegni nulla se prima non arrivi, con
pazienza, a questa relazione. Dopo farai anche a tempo a chiedere di più,
a diventare anche esigente. Ma c’è tempo: se il tuo bambino lo conosci da
pochi giorni, è davvero presto. E stare in classe, di solito è un
obiettivo d’arrivo, non di partenza.
Il mio bambino di prima dopo il primo giorno ha cominciato
a fare storie per entrare in classe; dalla conversazione con le insegnanti
dell’anno scorso e dalla madre abbiamo scoperto che gli piacciono i dinosauri:
tra me e la mia collega di classe lo stiamo ubriacando di dinosauri, e la classe
con lui. Si canta la canzone dei dinosauri , si disegnano, la lezione sulla “A”
è l’iniziale del nostro dinosauro Asdrubale.
E allora all’ingresso c’è il
libro dei dinosauri e tutto fila più liscio. Così ho scoperto, intanto, che gli piacciono i libri, e
allora gliene facciamo trovare uno nuovo tutti i giorni, o lo porto in
biblioteca appena arriva, e dopo andiamo in classe: per fortuna, ha un buon
livello di comprensione del linguaggio verbale, e allora basta che gli dica
“prima i libri, dopo in classe”. Diversamente, dovrei usare le immagini, o
qualunque altro sistema di comunicazione con lui funzioni. E anche questo, lo
devi scoprire”
E, in aggiornamento della “situazione
dinosauri”, ieri la mamma ci ha raccontato di aver portato il suo bambino al
Museo. E’ stata un’esperienza difficile, la presenza di altre persone ha fatto
scattare in lui una miriade di stereotipie, ma la passione era tanta, e nella
mattinata a scuola il nostro campione raccontava a me e alla classe cosa ha
visto: pronuncia molto male, ma ugualmente siamo riusciti a decodificare “collo
lungo, Tigre denti a sciabola, T rex, uomo scimmia, mammut” (compilerò un
dizionario “Eliese-italiano”...
Straordinaria, veramente straordinaria
la sua voglia di comunicare: ai corsi non ci dicono che manca l’intenzionalità
comunicativa? In effetti è così troppo spesso, ma in questo sta la
straordinarietà del mio lavoro: il mio bambino non è così, parla un mucchio
sebbene sia quasi incomprensibile, e comprende benissimo il linguaggio verbale.
Eppure ha una quantità di “comportamenti problema”: una bella sfida
pedagogica..
Alla prossima
Antonietta